giovedì 30 agosto 2007

libere associazioni

freud, le scarpe e la cocaina. qualche giorno fa avevo ai piedi un paio di scarpe davvero poco intelligenti, tanto per fare un calco dall'inglese, e dopo aver camminato per un po' con due maritozzi al posto dei piedi decido di provare a vedere se in uno dei tanti negozi di scarpe di via nazionale c'è qualcosa di ragionevole dal punto di vista del prezzo e della comodità. entro in un negozio con la mia amica susanna, vedo un bel paio di scarpe, chiedo di misurarle. il tizio del negozio mi porta la destra e me la fa misurare, passando senza soluzione di continuità dal lei al tu. mentre il tizio va a prendermi la sinistra susanna mi fa notare questa storia del lei e del tu e io le dico che anche a scuola mi capita con gli alunni: ci sono delle formule che imparano con il lei, tipo "scusi", ma il resto della conversazione è fondamentalmente "tu". e io le dicevo che ci tengo a insegnargli a dare del lei perché il loro uso del tu non è né frutto di scelta, né di sfrontatezza, né di amore per l'egualitarismo, ma solo di ignoranza linguistica. e mentre dicevo queste parole torna il tizio con la scarpa sinistra.

"ah lei insegna?" (passaggio definitivo al lei, visto che sono insegnante) "eh, ai miei tempi agli insegnanti li consideravamo delle divinità. No come 'sti regazzini de oggi. ma sa che le dico? dovremmo essere tutti più freudiani".
io e susanna: "...."
"perché freud diceva le cose, ma poi va' a vede'... freud ha scritto un libro sulla cocaina, lo sapevate?"
io e susanna: "no".
"si chiama io e la cocaina". (poi io e susanna abbiamo controllato, il libro in realtà si chiama la cocaina)
"cioè capito? questo è andato in bolivia o in colombia e ha provato la cocaina. e j'è piaciuta. e c'ha scritto un libro"
io: "oh che bello, sono veramente comode queste scarpe: le prendo".
"aho, vedi?", dice il tizio rivolto a susanna, dandole del tu, ma solo perché non sa che insegna all'università. "me cambia discorso!"
io: "no, no, prego, mi scusi, continui" (e intanto andiamo alla cassa).
"capito? c'ha scritto un libro".
io: "be', sì, all'epoca la cocaina e anche l'oppio erano usati a scopi tarapeutici".
"sì, ma il discorso è un altro. perché mettiamo caso che io a lei je do 'na sigaretta. e lei la fuma. e poi je ne do 'n'artra e lei la fuma. e poi je ne do 'n'altra e lei comincia a provacce gusto. che fa, lei, eh? che fa?"
so che è una domanda a trabocchetto. scopro tutte le mie carte e dico la verità: "mi scusi, ma non la seguo più".
"eh eh", ridacchia lui. "ce scrive 'n libro, no?"
"ah..."
io e susanna: "..."
io e susanna: "grazie. arrivederci".
"io e la cocaina se chiama il libro. no io io, eh? io lui, io freud. io e la cocaina. che lui l'ha provata e j'è pure piaciuta".
"eh, ora andiamo da mel e cerchiamo il libro... grazie, buongiorno".
"io e la cocaina!", ci grida dietro.
io: "ma non volevi provarti quegli stivali in vetrina?"
susanna: "ho cambiato idea".

mercoledì 29 agosto 2007

benaltrismo

non credo che una parola o un concetto del genere esistano in molte altre lingue. un esempio di benaltrismo si vede in questi giorni, con la storia dei lavavetri fiorentini. io sono d'accordo con quanto dice rosi bindi: "non dimenticare che le misure di sicurezza più certe, quelle che danno migliori risultati, sono quelle dell'integrazione e non quelle della paura o del non rispetto della persona, o, peggio ancora, dell'incapacità di riscattare tutti dal giogo della malavita".
però il fatto che tanto i problemi sono ben altri, appunto, porta spesso molta gente di sinistra (di come e perché rimandino quelli di destra, ovviamente, non me ne cale) a rimandare sine die una discussione seria e dei seri tentativi di trovare soluzioni ai suddetti problemi. "semp' meglio che ghi' a rubba'", dicevano i venditori di fazzoletti quando viaggiavo da e per napoli, all'epoca dell'università. perché questo è il punto: l'alternativa a questi lavori decisamente umilianti, inutili e molesti (la retorica romantica a tal riguardo è stucchevole e fondamentalmente classista, se non razzista) è la malavita, non c'è altro. se le istituzioni decidono di prendere il toro per le corna ed eliminano i lavavetri, i venditori abusivi, la fatica non è tanto sradicare anche tutto il racket che c'è dietro. la fatica vera è offrire un'alternativa seria a queste persone. e investire in politiche serie per l'integrazione, contro l'abbandono scolastico, per una reale cultura delle pari opportunità che ora in italia non esiste significa rivoluzionare un paese intero. è una fatica improba. da dove si comincia? ogni provvedimento sembra una goccia nell'oceano. perché tanto i problemi veri sono ben altri, appunto.